La Nove Colli

Aggiungo, come di consueto, queste note al video, così potrete meglio apprezzare alcune immagini.

Come vedete anche questa volta sono lì davanti, nella griglia bianca, quella dove ci vai per merito, se nel 2016 o 2017 hai fatto la Nove Colli 130 (chilometri) sotto le 4 ore e spiccioli, oppure la Nove Colli 205 sotto le 8,15 (tempi per gli uomini). Quelli che pedalano di questo passo li vedo col binocolo, sono quindi in una posizione ampiamente immeritata, ottenuta grazie alla mia qualifica di cronista (cioè autore di cronaca, non atleta delle gare a cronometro).

Sono circondato da gente fortissima e davanti a me c’è ancora di peggio, la mitica griglia rossa. Lì partono solo quelli della Nove Colli 205, che hanno fatto sotto le sette ore e mezza. Hanno il pettorale che va da 1 a 1300, li vedo ora e qualcuno lo rivedrò verso l’arrivo. I più forti infatti li incrocerò addirittura verso la fine del mio giro, io sul 130, loro sul 200. Tanto di cappello.

Facciamo due conti, a spanne. I primi milletré non li vedo nemmeno, che oltre a partire davanti a me vanno come dei fulmini; gli altri milletré, più o meno, del mio gruppo li vedo adesso poi mai più, forse due o tre, infiltrati come me, andranno del mio passo; dietro ho la griglia dei “Prestigiosi”, e anche questi pedalano come degli assatanati. Infine mettiamoci qualche migliaio di fortissimi che hanno un pettorale alto assegnato per ordine di iscrizione; quindi mi può arrivare sul coppino un jet targato 11628, numero all’apparenza innocuo che invece nasconde uno da 200 watt. Per gamba, non in tutto come potrei essere io.

Al via si scatta quindi pedalando a un ritmo che — per le mie modeste possibilità — è da scriteriati, manco il traguardo fosse a Forlimpopoli, cioè sotto il primo colle, la prima salita. Ricordo, però, che ce ne sono da fare nove, quattro per quelli che scelgono il medio, e che sono tutti belli tosti. Quindi la prendo con il giusto ritmo, e quest’anno non va malaccio, lascio scorrere i grupponi dei veloci, quello dei Prestigiosi e dopo venti chilometri arriva la mandria.

La prima salita non la soffro più di tanto, e sono contento. È solo il primo colle, però, e quando per un attimo vagheggio gli altri otto mi prende un momento di sconforto. Lo faccio tanto per immedesimarmi in un protagonista della vera granfondo, così per gioco, tanto non ce la potrei fare. Oggi ai 205 non ci penso nemmeno, un giorno, chissà.

Quest’anno un branco di idioti ha buttato dei chiodi in un tratto del percorso, verso Piandispino, gente da compatire. Altri hanno sbeffeggiato la Nove Colli sui social, evidentemente dei patacca (nell’accezione romagnola: ingenuo, sprovveduto, scegliendo tra le parole buone), perché la Nove Colli è una manna per Cesenatico, per la Romagna, per l’Italia.

Io ho attraversato la zona delle forature indenne, ma non per fortuna. Visto il mio ritmo prima di me sono passati in migliaia, e così hanno raccolto tutte le puntine; vedi, a volte essere prudenti ha i suoi vantaggi.

Anche quest’anno siamo stati invitati da Selle Italia, e così siamo partiti in gruppo. Un fatto divertente è che in varie parti del percorso ho incrociato un distributore del Sud America — lo vedete in vari momenti del filmato — una cosa che non succede mai. In genere anche se si parte in gruppo con i migliori propositi (ci aspettiamo), immancabilmente capita che dopo qualche decina di chilometri ci si perda di vista, vuoi per il passo differente, vuoi per un rallentamento, e anche per il gran numero di ciclisti che partecipano alla granfondo. Qua siamo dodicimila ed è facile perdersi; allo stesso tempo è bellissimo perché non si resta mai soli come può accadere nelle granfondo meno affollate.

Insomma, il mio amico sudamericano l’ho incontrato dappertutto, e pure al traguardo, che abbiamo tagliato insieme. Nine Hills is magic.

A Mercato Saraceno mi fermo al Caffè Ragno per un sorso corroborante prima del Barbotto. Un caffè che si chiama ragno mi pare di buon auspicio per l’arrampicata che mi si prospetta. Se hai in mente la prestazione non ti fermi, butti giù un gel e al massimo fai rifornimento d’acqua, ma questa volta mi serve il carburante per la salita, un caffè ci sta benissimo. E ho anche modo di scambiare due parole con la gentilissima gente del posto, ah la Romagna, che bellezza!

L’anno scorso ero così preoccupato del Barbotto che più volte, negli ultimi trecento metri ho temuto di non farcela. È stata durissima, l’ho fatta a denti stretti, uno sforzo tremendo in piedi sui pedali, e sono arrivato allo scollino mezzo morto, emozionato e contentissimo. Quest’anno l’ho fatta quasi tutto seduto, e nemmeno con troppa fatica. No, non sono diventato uno scalatore in una stagione, le mie doti ciclistiche sono più o meno sono le stesse, e non so dire di preciso cosa sia successo. D’accordo, sapevo cosa mi aspettava, quindi l’emozione nell’affrontare questo colle non è stata la stessa della prima volta, ma che tutta questa differenza sia legata a un fattore psicologico mi sembra strano. Va bene la testa e tutti quei discorsi sulla motivazione, ok, un po’ ci credo, ma vedo che sui pedali occorre comunque spingere con le gambe, e se queste sono modello base, come le mie, hai voglia a concentrarti.

Quanto questa pedalata sia stata psicologica non lo so, ma ho imparato che la cosa più appassionante di una granfondo è scoprirla mentre la fai. L’emozione che ti dà affrontare per la prima volta una salita impegnativa, che quindi non sai quanto è ripida, quando finisce, se ti lascia prendere fiato, se ce la farai a superarla, è straordinaria, indipendentemente dal risultato, dal tempo e anche da come andrà, se riuscirai a pedalarla senza fermarti o sarai costretto a fermarti a riprenderti o addirittura camminare.

Poco dopo il Barbotto c’è un altro spauracchio: il bivio 130-200. Non è in salita, anzi, è in discesa, lo spauracchio è psicologico. In un secondo devi decidere se arrenderti, e prendere la strada per Cesenatico, che ti attende affettuosa, calda e soleggiata, a questo punto attraente come le sirene di Ulisse. Oppure girare per i restanti cinque colli, cinque di cui l’ultimo, il Gorolo, duro quanto il Barbotto, e ai piedi del quale arrivi dopo aver pedalato per una centottantina di chilometri.

Un secondo lunghissimo, perché qui penso sempre a cosa succederebbe se prendessi per i 200 meritandomi così la maglia Nove Colli, che finora indosso con leggero imbarazzo, so che non me la sono guadagnata.

È solo un’ipotesi, perché devo prendere per il 130: se svoltassi per il 200 a questo punto sarei più o meno a metà strada, e vista l’ora arriverei (nella migliori delle ipotesi) nel tardo pomeriggio, non col buio perché ora (maggio) le giornate sono lunghe, ma all’imbrunire. Non posso tardare, tra poche ore ho il transfer che mi riporta a casa, altrimenti. Altrimenti avrei preso ugualmente per il 130, mi sembra già una bella pedalata. Arrivo a Cesenatico con la coscienza che rimbalza tra il sollievo dell’assoluzione e un leggero disagio.

 

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